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Ad Metamorphosis Azzuritis - Associazione Culturale Galleria Papini

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Ad Metamorphosis Azzuritis

Mostre > 2025

       
AD METAMORPHOSIS AZZURRITIS
Mostra d’Arte di Celeste Alessandrini e Paina Dhanjal

 
 
12 27 Aprile 2025
Inaugurazione: Sabato 12 Aprile ore 18.00
Orario mostra: dal giovedì alla domenica 17.30-19.30
       
Presentazione di Marco Tarsetti

Ad metamorphosis azzurritis: il titolo della mostra, in un meraviglioso “latinorum” inventato, ci esplicita il filo azzurro (mi si conceda il facile gioco) che lega le due artiste esposte, Celeste Alessandrini e Paina Dhanjal.
Insieme al colore azzurro, e ad una certa vicinanza di intenti, c’è poi un altro aspetto che a mio avviso le accomuna: la rilettura delle tradizioni.
Nelle opere di Celeste, dall’azzurro emergono bislacche figure bizantineggianti.
Bisanzio è l’ispirazione dichiarata dell’artista: pittori come Cimabue e Coppo di Marcovaldo sono l’orizzonte iconografico di un immaginario pittorico che riusa tali stilemi in modo personalissimo. Ma ci si guardi dal credere che sia semplice citazionismo! Per Celeste quello bizantino è lo stile che meglio le permette di esprimere la sua “tragedia cosmica”, richiamando parole usate per descrivere l’arte di Cimabue: Bisanzio diventa una dimensione interiore.
Lo vediamo nel dittico, sorta di arteterapia in cui il vissuto di Celeste (che già così giovane ha subito stigma e non solo) si trasforma in una catarsi neobizantina. Sulla destra, un Giudizio dove un energumeno gigante con gesto esplicito manda letteralmente all’inferno i malcapitati sotto: questo rozzo anatema è la rivincita dell’artista contro chi le ha fatto del male, un’Apocalisse di rivalsa queer. Sulla sinistra, la presenza di un sarcofago evoca l’idea del risorgere, della vittoria sulle suddette avversità.
L’ironia è la chiave di lettura di questo processo, che non rifà lo stile bizantino ma lo assimila ed elabora. Basti guardare le figure: vediamo dei mostri che sembrano presi da capitelli romanici, ma ad una osservazione più attenta notiamo che questi sono truccati, ci sono rossetti che inframezzano le decorazioni, dove evidenti per ogni anconetano sono i richiami a Santa Maria della Piazza. In basso due donne trans, volutamente stereotipate, mangiano degli uomini come nel celebre Giudizio di Coppo di Marcovaldo per il Battistero di Firenze: un vero e proprio bestiario transgender.
È affascinante che tutto questo sia stato realizzando miscelando dei trucchi con l’uovo, secondo il metodo antico di preparazione dei colori.
Nell’altra opera avviene un ulteriore passaggio: ispirata alla miniatura persiana, come Bisanzio viene conquistata dai Turchi nel 1453, Celeste lascia conquistare la sua Bisanzio interiore da questo nuovo stile, arrivando ad una rappresentazione più meditativa e rappacificata.
Affascina il passaggio dal ricco bizantinismo pittorico di Celeste all’elegante minimalismo materico di Paina.
Nata in India e arrivata in Italia da bambina, ha mantenuto col suo paese una connessione fortissima: dall’India apprende l’amore per il regno vegetale e attraverso l’influsso del nonno assorbe l’energia spirituale della sua antichissima cultura, avvicinandosi alla meditazione, che le consente di scoprire le connessioni con gli elementi naturali e di capire l’energia insita nel corpo.
Tale connessione di cosmo corpo ed emozioni genera un’arte che elabora il concetto di vuoto come una ricchezza: l’artista lo ha icasticamente definito “vuoto colmo”, giacché questo non è più abisso ma uno spazio da riempire, una fase del percorso di consapevolezza. L’arte di Paina esplora gli elementi della natura e la loro connessione con l’umanità: da qui nascono le sue opere, ed entra in gioco il blu.
Colore denso di significati, il blu è duale: cielo e abisso insieme, è il colore della serenità e dell’inquietudine; associato a molte divinità importanti della religione induista, come Vishnu, Krishna e soprattutto Shiva, colui che beve tutto il veleno del mondo per salvare l’umanità e perciò diventa blu, poiché avvelenato. Dunque il blu è anche simbolo di sacrificio.
Questa serie di opere si chiama proprio Vish, veleno: accostandoci ad esse dobbiamo pensare ad una bellezza che non è solo godimento estetico ma anche malinconia.
Il pigmento blu è inserito nell’impasto della carta a mano, con cui sono fatte le sue opere: questa ha una straordinaria tessitura tattile, è un materiale che ha corpo e può essere scultura e pittura insieme. Infaticabile sperimentatrice, Paina inserisce vari elementi nella carta (tutti naturali): non solo pigmenti tradizionali (pietre macinate a mano, come lapislazzuli e malachite) ma anche argilla, spezie, legnetti e quant’altro stuzzichi la sua fantasia nel dare forma a questo percorso tra interiorità ed esteriorità, che si riflette fino nella materia di queste opere: se il colore è lo spirito, la carta ne è il corpo.
Questa mostra è come un dittico, lo si può guardare insieme o scegliendo un proprio “ordine” di lettura delle immagini: al visitatore la scelta di come fruire delle opere di Celeste e Paina, così diverse nello stile e così vicine nel valore, accomunate da onestà di ricerca artistica e profondità di pensieri.



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